Milano 12.04 • 18.05.2018
Il percorso espositivo si articola attraverso una selezione di dieci opere (caratterizzate da una tavolozza sostanzialmente nera), concentrando l’attenzione su quelle che vanno dalla metà anni ’80 ai ’90. Questi sono modelli che rimarranno lungo il percorso dell’artista sospesi nella dimensione potenziale ma ciclicamente presenti nella ricerca e nelle istallazioni recenti. L’elemento geometrico che delimita i corpi nelle superfici e la tensione predisponente al raggiungimento di un fine per l’artista, sono atti combinatori in cui l’ora della conoscibilità deve diventare una “soglia”, il luogo di un esperienza immaginale tra sonno e veglia. Tali superfici dispiegano un alfabeto che ricompone le icone di un nuovo sentimento spirituale, dove si sovrappone percezione ottica e visione metafisica cogliendo spunti anticlassici legati all’antropologia centro-italica. Fra i temi di maggior rilievo di Dell’Amico sono queste architetture o strutture anonime e silenziose evocate attraverso elementi compositi di tele sagomate, dipinte con ossidi e terre. L’enigma del loro divenire e la geometria che le definisce, sostengono la visione di “stanze”, ricavate dall’osservazione in particolari con prospettive degli ipogei etruschi, matrici ma anche modulo formale generatore di spazio. Ad evidenziare il segnale simbolico di tipo misterico è il ricorrente contorno di una piramide schiacciata, sulla quale si sovrappongono le travature dei soffitti – ripetute una dietro l’altra come onde di energia solidificata nella materia. Con queste opere l’artista ci riconsegna l’antico spazio del mito, una narrazione dentro ad un percorso tipico, in cui il concetto di soglia è costantemente desituo e la messa in crisi del reale poggia sulla domanda radicale che è la pluralità frammentaria del mondo, un alternarsi tra opera e senso latente.
Carlo Dell’Amico (Perugia 1954) ha sempre elaborato un complesso universo di segni e simboli, nel quale la presenza ricorrente di frammenti o reperti concorrono alla ricerca di un senso vitale di un’origine; dagli esordi del suo lavoro, l’arcano nel suo abisso insondabile di semplicità, risulta essere per l’artista introvabile con il solo aiuto del raziocinio. Sulle tracce primordiali e fino alla condizione attuale, il suo rapporto con il presente, (che non può ritenersi esclusivamente contemporaneo) avvalendosi di un’ipotesi di sospensione dagli accadimenti, sin dagli anni 70 fino ai primi anni 80, vive la contaminazione dei linguaggi della storia, legata alle sue origini, che entrerà a far parte di un codice espressivo globale che rappresenta in tutti gli aspetti della sua ricerca, vissuta in una realtà del tutto autonoma. La mutazione dei mezzi espressivi e l’uso dei linguaggi mediali, concorrono intorno agli anni 2000 alla smaterializzazione del suo mondo creativo le cui energie sono impiegate nel processo di decodificazione di un’assenza contaminando opera e ambiente, concetti espressi nella performance e nell’installazione del 2006 al Mlac dell’Università La Sapienza di Roma e al Museo del Tuscolo nelle Scuderie Aldobrandini di Frascati.